Estate africana

In questa estate d’Africa che stiamo vivendo

non ho voglia di fare niente

Se non di dimenticare.

Eh ascolto dalla sera alla mattina

strana musica sperimentale,

mentre sto seduto sognando mondi lontani,

e fumo come un solitario,

sentendo la schiuma infrangersi ritmicamente

assente come il riflesso di me stesso…

E poi il cielo mi si apre, rosso come il sangue

e vedo il sole trafitto da un lampo

e il mio destino è già lì.

Il canto di Piccarda (III Canto del Paradiso, parafrasi e similitudini con il sacrificio morale di Socrate)

Quel sole (Beatrice) che per la prima volta mi aveva scaldato il petto di amore

Mi aveva svelato la bellezza della verità (sulla composizione della Luna)

Dimostrando e confutando, il dolce aspetto di essa (perché la verità è dolce e bella allo sguardo)

E io alzai il capo in maniera pudica e umile

Per confessare di essermi ricreduto

Quando mi apparve una visione

Che mi costrinse

A tacitarmi.

Come attraverso i vetri trasparenti e tersi,

o per le acque nitide e tranquille,

non troppo profonde

si restituiscono ai nostri visi sembianze

così deboli, che sembra impossibile distinguere alle nostre pupille

una perla da una bianca fronte;

così vidi io tante facce pronte a parlare

che io corsi l’errore contrario di quello di Narciso

che specchiandosi pensava di vedere un’altra persona

quando in realtà non vedeva altri che sé stesso.

Così mi volsi per capire chi ci fosse dietro di me,

ma non vidi nulla, e mi rigirai verso Beatrice,

che sorridendo fece ardere gli occhi santi.

<<Non meravigliarti che io sorrido,

del tuo pensiero puerile,

perché esso non si fonda sulla verità, in quanto

si basa semplicemente sulle illusioni date dai sensi:

sono vere sostanze quelle che vedi,

relegate qui per una mancanza nel loro voto.

Ma parla con loro così capirai

Che la luce della verità che le sazia

Non le lascia turbate e insoddisfatte>>.

E io all’ombra che mi sembrava più vogliosa di parlare,

mi drizzai, e cominciai,

con quell’esitazione propria dell’uomo che dalla troppa voglia si confonde:

<<Spirito beato, che sei esposto alla dolcezza dei raggi della vita eterna,

che non può essere compresa, per chi non l’ha sperimentata,

ti sarei grato se mi dicessi chi sei e mi raccontassi della tua storia.>>

<<La nostra benevolenza>>, rispose ella, <<non chiude le porte

A chi ha un giusto desiderio, come d’altra parte

Fa quella divina.

Io nel mondo fui una suora,

e se provi a ricordarti, il fatto che io sia ora più bella,

non ti dovrebbe celare chi fui sulla Terra,

e riconoscerai in me Piccarda,

che abito con gli altri beati di qui,

sulla Luna, la sfera più lenta.

I nostri sentimenti sono infiammati

dal piacer dello Spirito Santo,

e si letiziano conformandosi al suo comando.

E questa sorte, che sembra essere così bassa,

ci è stata data, perché furono rotti i nostri voti, in parte mancando ad essi.>>

Quindi io a lei: << Nel vostro mirabile aspetto

risplende un non so che di divino

che vi trasmuta rispetto a come vi ricordavo,

infatti non mi sono ricordato subito di voi

ma ora mi aiuta ciò che mi stai dicendo

così che rimembrarti ora mi è più facile.

Ma dimmi, voi che state qui,

desiderereste vivere in un luogo più elevato,

per vedere meglio la luce di Dio e per stargli più vicino?>>

Lei allora un po’ sorrise con gli altri spiriti luminosi,

al che mi rispose molto lieta, tanto smagliante che sembrava ardere

dello Spirito Santo.>>

<<Fratello, la virtù di carità quieta e conforma la nostra volontà,

e ci fa volere solo quello che abbiamo, e non bramiamo altro.

Se fossimo superbe, perché vorremmo di più di quel che abbiamo,

i nostri desideri sarebbero discordi, da volere di colui che qui legifera e scerne;

cosa impossibile in questi cerchi,

dato che qui è necessario vivere in carità,

se ci rifletti bene e capisci cosa significa.

Anzi è essenziale a questa esistenza beata,

vivere nella volontà divina, tanto che le nostre svariate voglie

devono diventare una soltanto;

così che il fatto che siamo divisi in varie soglie,

a tutto il regno piace, come al Re che il suo volere ci invoglia.

E la sua volontà è la nostra pace,

lui è quel mare verso il quale ogni cosa si muove,

uomo (diretta creazione di Dio) e natura (che si genera da sé da iniziale emanazione divina).

Allora mi fu chiaro come ogni luogo in cielo è paradiso,

anche se la grazia di Dio non piove ovunque allo stesso modo.

Ma come avviene per colui che si sazia di un cibo, ma ne

È affamato ancora di un altro,

che di uno si chiede e di un altro si ringrazia,

così feci io con atto e con parola:

<<Quale fu la tela non tessuta sino in fondo

(cioè il voto non compiuto)?>>, le chiesi.

Ed ella a me: <<Perfetta vita e alto merito ha posto una donna più su (Chiara D’Assisi)

Alla cui regola nel vostro mondo ci si veste e vela,

perché si rimanga fedeli sino alla morte a quello sposo

che accetta ogni voto conforme al principio di carità.

Dal mondo per seguirla giovinetta

fuggì, e nel suo abito mi chiusi,

e promisi la vita al suo ordine.

Uomini poi, avvezzi più al male che a buoni costumi,

mi rapirono dal chiostro:

E solo Dio sa poi che vita feci.

E quest’altro splendore che si mostra alla mia destra

E che sembra ardere di tutta la luce del nostro cielo

comprende bene la mia storia;

lei fu suora ma le tolsero violentemente il velo.

Così riportata al mondo

Contro la sua volontà

E contro ogni morale,

non si distaccò mai dentro di sé dalle sacre bende.

Questo è lo spirito di Costanza che generò

Dal secondo vento di soave (Federico Barbarossa)

L’ultimo imperatore di Svevia (Federico Secondo).>>

E detto ciò cantando Ave Maria, iniziò a scomparire

Come fa un peso che viene immerso in acqua profonda.

Io inizialmente provai a rincorrerla con lo sguardo,

ma poi perdendola mi voltai verso l’origine

del mio maggior desiderio, così che la mia attenzione

fu tutta rivolta a Beatrice;

ma quella sfolgorava così tanto

che non riuscì a guardarla, così dovetti rimandare

la domanda che mi stava tanto a cuore in quel momento.

Riflessioni:

Il canto delle donne, da Beatrice a Piccarda, in cui Dante delinea gli spiriti beati della luna, ovvero coloro che non ebbero la beatitudine completa perchè mancarono un un voto, non per loro volere, ma per la malvagità altrui. Meraviogliosa a mio parere l’umiltà e l’accettazione della propria sorte di queste beate, che pur non avendo mancato di nulla devono pagare colpe non loro. Esse accettano la loro posizione in cielo, senza invidia per chi ha la possibilità di essere più vicino a Dio. Emerge la visione eistenzialista e politica di Dante, in cui le leggi di Dio non si discutono. Un po’ come fece Socrate quando decise di avvelenarsi nonostante fosse innocenete. Ma dato che le leggi della sua comunità erano quelle e le leggi erano il collante che rendevano possibile la comunità egli rifiuta di fuggire, per adempiere al sacrificio morale. Sembra quasi la morte di Cristo, seppur avvenuta qualche centinaio di anni prima…quante similitidini tra il mondo greco socratico e la figura del Cristo, aveva forse ragione Nietzsche quando faceva terminare l’età aurea dei greci coi presocratici, nella sua battaglia tutta personale, e non solo, contro il Cristianesimo. Comunque volenti o nolenti aveva colto in quella fase della storia greca, l’epoca precristiana (si pensi anche all’importanza di Platone e Aristotele in ottica teologica), che forse favorì l’avvento della nuova religione, la deve più alla filosofia greca che non all’ebraismo in senso stretto…

Oracolo

Da tanto che, quando mi guardo dentro,

Immagino un mondo che non vedo più

E quella nostalgia che mi sommerge

di malinconia:

E Il nulla come unica speranza;

anelando alla pace suprema

Del ciclo delle vite ininterrotte

Che prima o poi finirà.

Per Noi angeli,

Padre Nostro

Lasciaci vivere,

dimentichi,

anelanti e cupidi,

dell’eterno castello…

Così i sentimenti puri

Mi richiamano all’ordine

E le stelle costituiscono la trama del mio destino

Mentre presenze astrali beffarde e saturnine

Mi attaccano la notte

Distogliendomi da chi sono

O(h) dovrei essere…

E poi un giorno il risveglio

e nuvole che lampeggiano

sulla la vita che si illumina

indicandomi la strada

E poi mi rivolgo al cielo

Come non ho mai fatto.

E Il tutto mi attrae:

e cieco e dimentico

Divento Oracolo

di quel che sono

L’ospitalità di Erdogan al popolo siriano

Come si sa la Turchia ospita ben 2,5 milioni di profughi siriani, fuggiti dal Paese dopo la sanguinosa guerra civile scoppiata nel 2011, in seguito alle proteste contro il regime di Assad.

Inizialmente il Governo di Ankara si era dimostrato ben disposto all’accoglienza, e ciò per una serie di motivi. Da una parte infatti sperava in una risoluzione celere del conflitto con un reinserimento dei Siriani nei loro territori abbastanza veloce. Affiancando così all’aiuto umanitario, un disegno panarabo, nemmeno così nascosto di Erdogan. Dall’altro, la chiusura delle frontiere europee, il prolungarsi del conflitto dopo l’intervento di Mosca nel 2016 a difesa di Assad, ha provocato un “ristagno” dei profughi sul territorio turco, favorendo anche il disappunto delle popolazioni locali, che hanno messo sotto pressione il presidente, sentendosi minacciati a livello di sicurezza e nel mercato del lavoro. Erdogan da parte sua, non ha faticato molto, demagogicamente, a cambiare il suo orientamento politico. Sfruttando inoltre la chiusura europea a suo favore, chiedendo benefit politici ed economici, anche personali, affinchè la Turchia non aprisse le frontiere all’invasione siriana.

Il presidende della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan

Ma per ottenere tale risultato Erdogan, ha dovuto muoversi in maniera schizofrenica con provvedimenti a dir poco ambigui ed arbitrari.

Infatti da un lato ha favorito l’iniziativa privata, soprattutto in una prima fase, dei Siriani. Consentendone di fatto l’insediamento. Dall’altro ha via via inasprito le politiche di accoglienza, dando la cittadinanza solo a quei Siriani ritenuti utili, o perché altamente qualificati, o perché validi strumenti nella lotta politica informale nei paesi in cui la Turchia è coinvolta in conflitti più o meno espliciti (Siria, Libano, Iraq).

Ciò ovviamente ha escluso dai diritti di cittadinanza la gran parte dei siriani “ospiti” temporanei, che possono lavorare solo tramite un permesso difficile da ottenere, così da doversi muovere nella zona grigia dell’economia informale, cioè senza la tutela di nessuna legislazione lavorativa.

Inoltre sempre come forma di deterrenza all’immigrazione Erdogan ha fatto erigere a partire dal 2016, un muro presso i confini meridionali e orientali turchi, con soldati armati e pronti al fuoco.

Se tali misure possano bastare a contenere lo spostamento di milioni di persone sembra dubbio, ma soprattutto è certo che gli unici che ci perdono solamente, sono le vittime, quelle che andrebbero tutelate e che invece nessuno ricorda.

L’Europa da parte sua si dimostra ancora una volta potenza ipocrita, che pur di “tutelare” i propri confini ricorre a mezzi moralmente dubbi, rinforzando leader chiaramente antidemocratici, ed esponendosi ai loro ricatti. Ma non è certo una novità il ricorso a mezzi sporchi per ottenere dei benefit in politica estera. Il problema è che se nell’immediato questi possono giungere, a lungo termine si dimostrano solo delle toppe nel mare. Pronte a scoppiare, in nuovi conflitti e in nuove ondate migratorie sempre più potenti, che solo regimi sempre più autoritari potranno contenere.

Ursula Von der Leyen, presidente Commissione Europea

Regimi autoritari che tra l’altro in un’azione di contagio di ritorno potrebbero ulteriorimente invelenire il clima europeo, favorendo a loro volta l’insorgenza di partiti xenofobi e razzisti, sprezzanti della democrazia e della tutela dei diritti umani. A discapito questa volta della stessa democrazia europea, che pur rimanendo saldamente ancorata a principi democratici, sembra essersi già spostata francamente a destra, come dimostrato dalle politiche migratorie adottate a livello comunitario e dai singoli stati membri.

Al di là quindi delle belle dichiarazioni di principio, c’è poco da essere ottimisti circa il futuro che ci attende, sul rispetto dei diritti umani ed universali.

Il Mondo Nuovo di Chico (California) come raccontato da Naomi Klein

Naomi Klein, che ha fatto della lotta alla globalizzazione selvaggia il suo principale cavallo di battaglia, negli ultimi anni sta incentrando i suoi reportage sui danni disastrosi che il nostro sistema economico apporta alla civiltà umana, mediante effetti catastrofici sul clima che si implementano ad una politica cinica e avida, dove il guadagno e la speculazione, hanno il sopravvento sulla compassione e la solidarietà umana.

A tal proposito nell’articolo che sto andando a commentare, apparso tradotto su “Internazionale” del 4 Giugno 2021, intitolato Distopia climatica a Chico, la grande divulgatrice canadese, esemplifica la propria visione su un possibile futuro che ci attende, qualora non si faccia nulla per interrompere la cascata dei cambiamenti climatici, e soprattutto, dato che essi sono già una realtà, non si cambi modo di fare politica ed essere comunità.

Chico è una città della California del Nord (una delle zone maggiormente esposta in seguito all’aumento della temperatura globale a maggiori siccità in associazione ad altissimo rischio incendiario), della Sacramento Valley, il cui destino sembra paradossale. Infatti, è passata in nemmeno tre anni ad essere epicentro della solidarietà (creazione di aree di accoglienza, pasti gratuiti e tende, residenti locali che aprirono le loro casa a dei perfetti sconosciuti) a centro della crudeltà e della repressione civile ed economica, nei confronti di quei senza tetto generati in gran numero dal più grande incendio che si ricordi nella vicina città di Paradise.

Naomi Klein

“Da una coperta di amore” ad una brutale repressione

Mark Stemen, professore di geografia dell’università di Chico, aveva definito così, il modo in cui gli abitanti di Chico avevano accolto gli sfollati, utilizzando questa metafora per amplificare sia il concetto di accoglienza (quelle coperte utilizzate per ristorare gli sfollati infreddoliti e spaventati), che quel mezzo utilizzato per soffocare le fiamme.

Purtroppo, questo impeto solidaristico iniziale, senza l’appoggio di politiche attive e finanziamenti federali, non è durato a lungo. Infatti, la politica locale, non è riuscita ad attuare dei piani per la creazione di nuove strutture popolari, accessibili anche ai ceti meno abbienti, anche a causa di una bolla immobiliare, che in seguito agli incendi, attraverso l’aumento della domanda, ha provocato una crescita esponenziale dei prezzi.

A ciò si aggiunge l’immigrazione di pensionati e lavoratori da San Francisco a Chico, una meta “tranquilla” dove ristorarsi o alleviare lo stress della vita nella grande città, che ha stimolato i costruttori locali a incentrare la loro attività sulla costruzione di immobili di lusso, in un momento in cui le residenze popolari sarebbero state indispensabili, per accogliere i profughi climatici più poveri (i ricchi grazie alle maggiori risorse ovviamente si erano levati piuttosto velocemente dall’indigenza), ma anche i senza tetto locali in crescita esponenziale, in seguito anche alla crisi economica provocata intanto dal Covid.

Il virus purtroppo non ha fatto altro che agire da moltiplicatore delle disuguaglianze e delle sofferenze preesistenti, incattivendo il clima.

Ciò anche in contemporanea al cambio di amministrazione che da democratica è passata a repubblicana. Infatti, in seguito ad essa, sono aumentati gli sgomberi dei senza fissa dimora, in un giuoco crudele, in cui i senza tetto di fatto sono perseguitati, non trovando altra soluzione alla loro condizione che quella di spostarsi da uno sgombero all’altro.

Inoltre, la loro situazione è peggiorata dall’atteggiamento intransigente della popolazione locale che non tollera il fatto che tra essi ci siano molti “rifiuti” umani. Gente con gravi tossicodipendenze, “diffusori” di malattie attraverso l’uso delle siringhe e persone affette da psicosi. Ma non sarebbe il caso di occuparsene, aumentando i servizi sociali, piuttosto che scacciarli, per dove, non si sa, attraverso i metodi violenti di una polizia, finanziata invece a pioggia dall’amministrazione Trump?

Ecco, la storia di Chico…

homeless

Così si è passati da una iniziale e spontanea accoglienza all’indifferenza dei “buoni” e alla violenta ostilità dei “meno empatici”. La storia di questa comunità è molto importante, perché può esemplificare cosa succede, qualora non ci sia una strategia politica volta all’accoglimento dei profughi climatici e dei soccombenti ad un sistema economico sempre più intollerante verso i cosiddetti anormali.

Infatti, se lo Stato si disinteressa delle dinamiche dell’accoglienza, scaricandole sulle comunità locali, che quasi sempre hanno scarse risorse e sono facilmente influenzabili da piccoli o grandi interessi, l’integrazione dei migranti climatici (purtroppo si stima che in futuro saranno sempre di più) o economici, o semplicemente degli esclusi, anche locali, non potrà che fallire, in una spirale che condurrà a dinamiche di disumanizzazione, e di disagio, dall’altra parte, che amplificando il conflitto, non potranno che peggiorare la sicurezza dei più.

Senza tener conto che una società civile, se vuole rispettare la vita umana, come sancito dalle innumerevoli costituzioni e convenzioni sui diritti umani, non può derubricare la questione della dignità sociale, come scarsamente interessante, ma al contrario essa è il cardine che deve tenere unite tutte le varie componenti della società, soprattutto in un’epoca liquida, in cui le strutture sociali sono molto indebolite e a passare da una parte all’altra della scala sociale basta poco.

Per tali ragioni, speriamo davvero in un rientro dello Stato non come mero arbitro della sicurezza nazionale, ma come attore principale nelle dinamiche economiche, nume tutelare dell’interesse generale, e non di meri interessi di parte, che rischiano non solo di danneggiare il tutto, disintegrando le innumerevoli conquiste sociali ottenute nel corso del ‘900. Per non parlare delle sfide climatiche che esso, in sinergia con gli altri stati della comunità internazionale, deve affrontare, sfide che oramai sono improrogabili per evitare nuove crisi, sempre più gravi, rendendo allora di fatto, non più governabile la situazione. E allora forse sarà davvero troppo tardi, e non si potrà che limitare i danni.

Ma questo futuro fosco, è già ora?

Paradaise of fire

Sul Don Giovanni ovvero sul Narciso moderno

Il Don Giovanni diceva: <<Chi sono tu non saprai>>. Interessante, affermazione, in cui svelava la sua vera essenza, ovvero il nulla, l’acqua, quella sostanza da cui fu generato, che non avendo forma, può solo riflette, ineffabile come una tomba. Perché il Don Giovanni non è che un fantasma, un dannato che ripete all’infinito, in maniera ossessiva, come le anime prave dell’Inferno di Dante, il motivo della propria lontananza dalla primaria fonte di amore, Dio creatore, la madre.

Egli vive in un luogo dove questo amore non è giunto, e quindi il suo tratto è l’odio, l’invidia e il risentimento. Che eppur maschera, imbellettandosi, truccandosi di mille volti, con parrucchini e cipria, per nascondere il proprio disfacimento fisico e morale.

La sua brama di conquista, in realtà non è altro che la ripetizione ossessiva e banale, per nulla creativa (seppur si nasconda dietro una parvenza di brillantezza, perché egli ama incantare, chi lo ascolta), di soggiogare l’altrui per dimostrare a sé stesso il proprio valore. Un calmierante, la conquista, che come ogni sostanza tranquillante (narcotici da Narciso, ovvero “colui che dorme”, cioè che è incosciente), ha durata breve. Mero lenitivo per un vuoto inestinguibile, un amore non ricevuto che gli mancò, come la poppa assetato ad un bimbo venuto da poco al mondo.

Tuttavia, la conquista per egli, ha due funzioni separate ma che discendono dalla medesima fonte, l’assenza e il sentimento di indegnità che ne consegue. Attraverso la seduzione, infatti, può da una parte, dimostrare il suo valore, perché solo chi è amato vale davvero (l’amore, o meglio l’ammirazione, per egli è infatti indispensabile, come il latte per un bambino).

In secondo luogo, l’essere amato permette attraverso un giuoco rifrattivo, di contemplare la propria ombra, ovvero il proprio sentimento di indegnità (ad essere amato), e quindi odiando tale immagine (ma non comprendo come Narciso che quella non è altro che la visione stereotipata eppur vera, di sé stesso), la allontana, la violenta, l’abbandona in fine, perché non riesce ad abbracciarla, non riesce ad amarla, non riesce a farla sua (perché per egli l’amore è mero possesso, senza sentimento – un sentimento che passa inevitabilmente per un coinvolgimento emotivo reale, impossibile, per chi non sente nessuna emozione, ma solo l’eco della propria voce).

Tale catena ossessiva (la catena della ripetizione compulsiva del trauma interiore che egli vive, che mette in scena, per la propria contemplazione interiore, perché egli ha solo vista e nessun altro senso), tuttavia, della conquista e del disprezzo (che può portare, o all’abbandono, o alla violenza sadica – De Sade, in fondo non è altro che il lato oscuro del luminoso Don Giovanni), potrà però spezzarsi, nel momento in cui l’avvertimento dato da Tiresia l’indovino, alla madre di Narciso (la ninfa Liliriope), si realizzerà : “Narciso vivrà se non conoscerà sè stesso”.

Tale avvenimento traumatico avverà solo nel momento in cui non sarà amato, o meglio quando il suo bisogno di confermare continuamente il proprio valore, sarà impedita da un grave fallimento (grave, nel senso che lui lo penserà così). Allora l’inganno rischierà di essere svelato. Allora egli si struggerà di dolore. Penserà per la prima volta di amare. Idealizzerà (immaginandolo) chi non lo ama (perché egli non può conoscere nulla davvero), e emergerà tutto il proprio sentimento di indegnità e il disprezzo di sé. Questo aprirà uno squarcio nella tela, ed emergerà il mostro Narciso, il Dorian Grey invecchiato e decrepito.

Allora l’amor di sé sparirà e il Don Giovanni moderno Narciso morirà.

2. In termini psicanalitici, potremmo pensare che la morte di Narciso/Don Giovanni non sia inevitabilmente la morte del paziente, ma anzi può costituire la fine della sindrome che lo affligge. Essa sarà sempre occultata ai suoi occhi se il successo arriverà sempre, così da vivere senza mai aver guardato negli occhi la propria ombra. Una vita di successi probabilmente, ma una vita colma di nulla, di assenza, di distacco, di gelo, di odio e distruzione. Una vita insomma socialmente pericolosa o dannosa, ma anche incosciente, avvolta di nebbia, sognata, ma mai sentita. Insomma, una vita vissuta senza essere mai nato.

Ma non è detto che nemmeno un fallimento o i fallimenti dei narcisisti, così chiamiamoli, svelato l’inganno letterario e del mito, si traducano in una redenzione e in rinascita. Al contrario la morte può non significare altro che il proprio annientamento (ulteriore) e quindi uno sprofondamento, questa volta nella fossa dell’odio di sé e del mondo. Aspettando una nuova fase, se arriverà, di grandiosità e di [ri]conquista (appare evidente come la sindrome bipolare possa essere una semplice manifestazione esteriore di un serio disturbo della sfera narcisistica della personalità).

Ma se tale terribile crisi sarà riportata alle sue reali cause, e non spostata sugli altri, colpevoli, o somatizzata in odio del proprio sé (cadendo dunque in uno stato depressivo, che comunque, latente, è il tratto sommerso di ogni narcisista, covert o scoperto che sia), ma alle reali cause (la ferita narcisistica) si potrebbe avviare un processo di guarigione.

Il narcisista infatti soffre del “complesso della madre morta”. Ovvero non si è sentito davvero amato nelle prime fasi della sua vita da una madre depressa che ha spento in maniera del tutto inconsapevole, l’investimento affettivo sul figlio. Una madre che si occupa magari in maniera ineccepibile del bambino, a cui nessuno potrebbe rimproverare nulla, ma che lo fa senza gioia né vitalità.

Un distacco emotivo che crea un buco nel bambino, un vuoto emozionale, in cui crescerà un sentimento di indegnità, ovvero il senso di non meritare amore, perché non si vale abbastanza. Il valore di sé allora diverrà l’unica bussola con la quale orientarsi, un metro, l’unità di misura, con cui il bambino adulto valuterà la propria esistenza, traendone bilanci, mai davvero soddisfacenti, in una rincorsa infinità. Perché non si può colmare il vuoto con i numeri, come infinite sono le frazioni di una unità.

A ciò inoltre si può aggiungere, aggravando il quadro, un padre violento e in fuga (o assente), come quel fiume Cefiso, che violentò Liriope, la madre di Narciso, aggiungendo quindi un tratto sadico al bambino innocente, eppur con un futuro tutt’altro che incolpevole.

Bisogna dunque interrogarsi, se oggi, la politica, l’economia, la narrazione dominante, i social, non incoraggino tali impulsi narcisistici, o le personalità narcisistiche, valorizzando dunque dei soggetti malati, e quindi pericolosi, per sé, ma soprattutto per la società (il caso Trump ne appare la dimostrazione più eclatante e recente, seppur personalità narcisistiche con forti tratti sadici, purtroppo hanno costellato la storia dell’umanità).